Quali difese in caso di crisi internazionale?

Quali difese in caso di crisi internazionale?

È un tema certamente difficile, anche per un giurista. Non è di per sé un esercizio facile rilevare potenziali divergenze, a livello teorico, fra il diritto internazionale e la Costituzione federale. Purtroppo, l’iniziativa non dice chi sarà a dover scegliere di volta in volta fra il diritto svizzero e il diritto internazionale: si arrischia la paralisi giudiziaria proprio su questioni fondamentali, in un periodo in cui è necessario decidere in fretta. Ritengo in ogni caso legittimo fare un pensiero su quella che potrebbe essere la posizione della Svizzera a livello internazionale qualora l’iniziativa venisse effettivamente accolta. La domanda da porsi dovrebbe essere quella a sapere se la disdetta di “n” accordi può scatenare una levata di scudi internazionale tanto da mettere il nostro Paese in una situazione di crisi. Nell’ipotesi affermativa, la Svizzera sarebbe in grado di far fronte a tale pressione?
La nostra storia più recente ha dimostrato, purtroppo, che le nostre armi sono abbastanza spuntate. Due crisi su tutte hanno dimostrato i limiti delle nostre istituzioni. La prima è partita nel 2009 dagli Stati Uniti, dopo 10 anni, ha inesorabilmente stravolto il settore finanziario con l’affossamento del segreto bancario. È ancora ben vivo il ricordo di un Consiglio federale praticamente impossibilitato a parare i continui attacchi provenienti da gran parte dei paesi occidentali (oltre a Usa, Germania, Francia, e G20). Non vennero in soccorso della Svizzera nemmeno quei paesi in Europa che condividevano un sistema analogo al nostro (Gran Bretagna, Lussemburgo, Austria). Nessuna solidarietà, e tanta critica nei confronti del nostro Paese. Il secondo esempio, anch’esso rivelatore dei limiti delle nostre istituzioni in caso di crisi, è quello del triste sequestro dei due cittadini svizzeri che venne ordinato da quel dittatore libico giusto per un gusto di rivalsa a fronte di un torto familiare subito. In quelle fasi, vi furono addirittura paesi europei che redarguirono la Svizzera per il fatto di aver bloccato i visti Schengen ad alcuni personaggi vicini all’entourage di quel tiranno. Poca solidarietà, e cinica reprimenda nei confronti della Svizzera.
Il nostro peso specifico a livello internazionale, come si è visto, rimane limitato. Mi si dirà che si è arrivati al catastrofismo, forse. Tuttavia, se è vero che fra i vari obiettivi dell’iniziativa vi è quello di denunciare la Cedu, temo che tale atto possa essere interpretato quale affronto. Un potenziale fattore scatenante di un nuovo attacco contro la Svizzera (magari in una forma meno funesta), ma pur sempre un attacco di chi intende danneggiare gli interessi della Svizzera (e si è visto che nei momenti di maggiore difficoltà nessuno ha manifestato amicizia nei nostri confronti, anzi). In altri termini, questa iniziativa per l’autodeterminazione, se accolta, potrebbe tradursi in un atto di autoisolamento controproducente.
Un ultimo appunto: se la Svizzera è in grado di vantare un’economia con valori assoluti e relativi a dir poco straordinaria (Pil a quota 670 miliardi, reddito pro capite fra i più alti al mondo, disoccupazione al di sotto del 3%, massimi livelli di competitività, sistema sanitario ineccepibile, ottime infrastrutture ingegneristiche, e via dicendo) è anche grazie (e non malgrado) all’abilità di chi, nei decenni precedenti, è stato in grado di concludere centinaia di accordi commerciali a tutela dell’esclusivo interesse della Svizzera. Pensiamoci, il diritto internazionale fa prosperare la Svizzera, non la isola e non la danneggia.

Ergin Cimen

Articolo apparso su laRegione, 16 novembre  2018