Svizzera più debole con l’autodeterminazione

Svizzera più debole con l’autodeterminazione

Nel nostro Paese non tutto è perfetto. È però incontestabile che la popolazione svizzera dispone di un’assistenza sanitaria di altissimo livello, di un sistema di formazione considerato esemplare dai nostri vicini, di una gestione performante delle sue risorse e di infrastrutture di qualità. Molti dimenticano che questi vantaggi sono spesso il frutto della ricerca di punta condotta in Svizzera.

Inoltre, i numerosi poli d’innovazione con sede in Svizzera creano posti di lavoro locali e competitivi. Da recenti studi (Ufficio federale di statistica, 2015) emerge che la creazione di posti di lavoro e di imprese è concentrata intorno ai principali poli di ricerca, in particolare nelle regioni del Lemano, di Zurigo e Basilea e in Ticino, che – un dato spesso dimenticato – accoglie dei centri di ricerca di alto livello.

La piazza svizzera della formazione e della ricerca gode di prestigio internazionale. Da diversi anni la Svizzera si colloca regolarmente nella top 5 mondiale in numerosi campi scientifici (SEFRI, 2016): un posto invidiabile se si considera lo stretto legame che esiste tra la ricerca di alta qualità, l’ecosistema dell’innovazione, la ricchezza in senso lato e il benessere generale.

Questa eccellenza non è dovuta unicamente allo straordinario DNA degli scienziati svizzeri, bensì è da attribuire, come ovunque, alla nostra capacità di attirare i cervelli migliori. La scienza non conosce frontiere, oggi più che mai.

Per questi motivi, un voto a favore dell’isolamento e del ripiegamento in sé stesso sarebbe pericoloso per la piazza svizzera della formazione, della ricerca e dell’innovazione. Di recente abbiamo fatto le spese dell’impatto nefasto di tali scelte. Conseguenza diretta del sì all’iniziativa popolare «Contro l’immigrazione di massa» del 9 febbraio 2014, l’esclusione dai programmi quadro di ricerca europei tra il 2014 e il 2016 ha privato i nostri ricercatori dell’accesso ai competitivi e prestigiosi fondi di ricerca ERC e ha provocato un netto calo dei finanziamenti europei. Queste perdite ammontano fino a oggi a 1,4 miliardi di franchi e non potranno più essere interamente recuperate. L’esclusione ha inoltre comportato una diminuzione dei coordinamenti dei progetti (–30%) e delle partecipazioni ai progetti europei (–25%) (SEFRI, 2018).

Ma il denaro non è tutto. Essere esclusi da questi programmi significa anche privare i nostri studenti e giovani ricercatori – i talenti di domani – dell’accesso alle reti europee che permettono loro di sviluppare le proprie conoscenze e tessere contatti essenziali per la loro futura carriera.

Se il contributo della Svizzera a programmi di ricerca e la sua forte presenza nei comitati scientifici internazionali sono ampiamente riconosciuti tra gli ambienti scientifici, lo stesso vale per i nostri esperti, giudici, professori, che si impegnano a pieno titolo in numerosi organismi internazionali: all’ONU, alla Corte penale internazionale, al Consiglio d’Europa. L’iniziativa per l’autodeterminazione rappresenta una vera minaccia per la Svizzera, un Paese che può esercitare un influsso sulle decisioni internazionali solo attraverso le sue reti, le amicizie che ha tessuto ovunque nel mondo e la partecipazione alla giurisdizione internazionale. Solo apportando le nostre conoscenze e il nostro know-how possiamo contribuire a definire le condizioni quadro che determinano il nostro quotidiano. Non lasciamo agli altri la responsabilità di plasmare il nostro futuro.

Clima, migrazioni, pandemie le grandi sfide alle quali siamo confrontati possono essere risolte solo collettivamente. L’isolamento dà solo un’illusione di sicurezza. Un’illusione pericolosa. Senza una spiccata vocazione internazionale, la Svizzera finirà per indebolirsi. L’A.G.F.A si impegna per tutti questi motivi invita a respingere l’iniziativa per l’autodeterminazione.

Jean-Marc Triscone, presidente A.G.F.A (Association de Genève des Fondations Académiques che raggruppa le fondazioni romande a sostegno della formazione e della ricerca nelle scuole universitarie)

Opinione apparsa sul Corriere del Ticino, 20 novembre 2018