Sembrerebbe ragionevole l’iniziativa dell’UDC sulla quale voteremo il 25 novembre: «Sì alla democrazia diretta. Sì all’autodeterminazione» è scritto sui Manifesti. Saranno pochi gli svizzeri a cui non piace la democrazia diretta. Tuttavia questo slogan è ingannevole: la nostra democrazia ne uscirebbe indebolita. «Diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)» è il nome completo dell’iniziativa che comporterebbe tanta insicurezza, ostacolerebbe il Tribunale federale e toglierebbe agli abitanti della Svizzera il diritto di ricorrere alla Corte europea dei diritti dell’uomo a Strasburgo.
Nella nostra bella Costituzione sono elencati i diritti dell’uomo. Se un cittadino si sente leso nei suoi diritti dalle sentenze dei tribunali in Svizzera allora può ricorrere a Strasburgo. Proprio per una minoranza, come lo sono i ticinesi in Svizzera, il diritto internazionale è importante e può sostenerli. Quindi sarebbe contro i propri interessi se uomini e donne di questo cantone accettassero l’iniziativa dell’UDC. La «Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo» è in vigore in Svizzera dal 1974, vieta infatti le discriminazioni per ragione di lingua e conferisce un diritto di ricorso individuale . Lo stesso vale per il «Patto internazionale del 16 dicembre 1966 relativo ai diritti civili e politici», entrato in vigore per la Svizzera il 18 settembre 1992: importante il suo articolo 27, che garantisce il diritto di utilizzare la propria lingua. Non bisogna poi dimenticare che il maggior sostegno concesso alla cultura e alla lingua italiana dei Cantoni Grigioni e Ticino dalla legge sulle lingue si basa certo sull’articolo 70 della Costituzione, ma trova sostegno anche nella «Carta europea delle lingue regionali e minoritarie» che prevede delle prestazioni finanziarie in favore delle minoranze linguistiche; la Carta, come tutti gli altri testi internazionali, è stata ratificata del Parlamento ed è entrata in vigore nel 1998. Inoltre la «Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali» è entrata in vigore nel 1999. Quest’ultima serve a garantire ad esempio una più estesa traduzione in italiano dei testi nell’amministrazione federale e a rinforzare le lingue minoritarie, cioè l’italiano.
Un caso che tocca direttamente i Diritti dell’Uomo. Il giovane Sven (dal libro «Frau Huber geht nach Strassburg» di Kilian Meyer e Adrian Riklin), affetto da diabete, voleva assolutamente fare il servizio militare ma è stato dichiarato non abile a causa della sua malattia. Il giovane Sven non venne accettato come recluta, ma la sua invalidità era troppo limitata per esentarlo dalla tassa d’esenzione del servizio militare. Riteneva ingiusta questa tassa, poiché aveva fatto di tutto per essere ammesso al servizio militare. L’ultima via d’uscita rimaneva la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Senza l’aiuto di un avvocato, il padre di Sven redigeva l’istanza per Strasburgo. La Corte entrava in materia e dopo alcuni anni giunse la buona notizia: I sette giudici della Corte europea dei dritti dell’uomo (tra cui uno svizzero) constatavano nell’aprile 2009 che la Svizzera non aveva rispettato il divieto di discriminazione. Il Consiglio federale non voleva accettare la sentenza e interpose una richiesta di riesame, che la Corte, nello stesso anno, ha respinto. Di conseguenza la Svizzera deve offrire alle persone con una leggera disabilità una funzione militare adeguata. Molti svizzeri con delle disabilità leggere sono grati a chi ha difeso anche i loro diritti a Strasburgo e molti colgono l’opportunità di fare un servizio militare adeguato.
La corte di Strasburgo può correggere delle lacune nel diritto svizzero, tuttavia i lettori non devono pensare che la Svizzera venga criticata e condannata spesso. Al contrario, il 98,4% delle cause non vengono ammesse o sono respinte. La corte europea riconosce alla Svizzera il rispetto molto ampio dei diritti dell’uomo.
Siccome l’iniziativa dell’UDC prescrive che «la Costituzione federale ha rango superiore al diritto internazionale» (con poche eccezioni per esempio riguardo alla tortura), accettandola si creerebbe grande insicurezza. La Svizzera è un Paese piccolo, perciò ha bisogno di trattati internazionali dove tutti quelli che li firmano hanno gli stessi diritti e se una parte non rispetta certe disposizioni, può essere richiamata. Il nostro Paese non può, come gli USA, imporre la sua visione, ha bisogno di un ordine che dia forza al diritto.
La Svizzera ha firmato oltre 4.000 trattati, ratificati dal Parlamento. Molti concernano l’economia. Di questi trattati 130 servono a proteggere gli investimenti svizzeri in altri Paesi: in caso di espropriazioni prevedono un risarcimento adeguato alla ditta espropriata, non completa, come lo chiedono le norme svizzere. Questi trattati sono quindi in contrasto con il nostro diritto. È facile immaginarsi cosa significherebbe la disdetta di questi accordi per le ditte svizzere e i loro dipendenti. Si capisce quindi che l’economia svizzera è risolutamente contro l’iniziativa dell’UDC, anche l’Unione svizzera degli arti e dei mestieri. Il presidente di economiesuisse, Heinz Karrer, in un’intervista alla «Basler Zeitung», ha detto che essa attacca il modello svizzero di successo e le buone relazioni con l’Unione europea e con altri Paesi e mercati importanti.
L’iniziativa dell’UDC seminerebbe insicurezza e sfiducia degli altri Paesi verso un partner finora molto affidabile; infatti nessuno sa quanti trattati dovrebbero essere annullati. Inoltre, prima o poi, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo dovrebbe essere disdetta. Ciò farebbe piacere ai Paesi europei che da tempo non rispettano i diritti dell’uomo come la Russia, la Polonia e l’Ungheria. Ma vogliamo fare un favore ai Paesi che disprezzano la democrazia?
Beat Allenbach, giornalista
Opinione apparsa sul Corriere del Ticino, 31 ottobre 2018