Non possiamo rinunciare alla CEDU

Non possiamo rinunciare alla CEDU

Ogni giorno dell’anno, domeniche comprese, lo Stato adempie ai suoi compiti. Pronuncia decisioni e sentenze, applica norme giuridiche, emana leggi e ordinanze. L’attività statale è invero esercitata da esseri umani, che per definizione non sono perfetti come le divinità. Può così talvolta capitare, anche in Ticino, che anche qualche autorità possa commettere degli errori – financo dei veri e propri soprusi – esponendo il cittadino ad una sensazione di ingiustizia. In uno Stato di diritto, chi si ritenga vittima di un torto può così rivolgersi a un tribunale imparziale, che dopo un processo equo potrà se del caso porre rimedio all’ingiustizia.

Le procedure giudiziarie sono sovente complesse e, in tali evenienze, sarebbe molto raccomandabile fare capo ad un avvocato, possibilmente iscritto all’Ordine degli avvocati del Canton Ticino (OATI), che ho l’onore di presiedere.

Uno dei più importanti testi di legge al quale gli avvocati ricorrono nell’esercizio della tutela dei cittadini confrontati con gli errori commessi da qualche autorità è la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). È un testo di legge quasi settantenne, nato dalle rovine della Seconda guerra mondiale, in risposta agli orrori della stagione dei totalitarismi. La Svizzera vi potè però aderire solo nel 1974. Non prima, poiché fino a quel momento le donne svizzere non avevano diritto di voto, violando uno dei diritti fondamentali di quella convenzione. Un chiaro esempio di discriminazione non tollerata dalla CEDU. Il Tribunale federale, dal 1975, in applicazione della CEDU ha elaborato un’importante giurisprudenza a tutela dei diritti fondamentali, che peraltro è stata per l’essenziale incorporata nella Costituzione federale del 2000.

Perché, si chiederà il lettore, è così fondamentale la CEDU a tutela del popolo svizzero, se tutti, o quasi, i diritti ivi contenuti si ritrovano nella Costituzione?

È fondamentale perché in Svizzera non esiste una Corte costituzionale che verifica la costituzionalità delle leggi federali. La maggior parte di queste sono beninteso conformi alla Costituzione. Ma l’esperienza insegna come vi siano in realtà delle eccezioni che il potere giudiziario svizzero può sanzionare solo in virtù della CEDU. L’applicazione della CEDU permette quindi, indirettamente, di applicare i diritti fondamentali contenuti nella Costituzione.

Ma vi è di più. Talvolta può capitare che anche il nostro Tribunale federale possa commettere degli errori. Qualsiasi cittadino svizzero, dopo aver esperito tutti i gradi di giudizio interni al nostro ordinamento giuridico, può appellarsi quindi alla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo nella quale deve partecipare obbligatoriamente un giudice svizzero.

Il popolo svizzero vorrà veramente rinunciare a tutto ciò? Ebbene se dovesse votare sì il prossimo 25 novembre correrebbe qualche rischio.

L’iniziativa popolare «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri» che si propone di modificare ben quattro articoli della nostra Carta fondamentale, chiede a chiare lettere la rinuncia alla CEDU? Di certo non esplicitamente. Secondo alcuni indirettamente. Non per nulla eminenti costituzionalisti hanno a più riprese messo in evidenza le ambiguità, le contraddizioni e i paradossi di tale iniziativa. Un vero e proprio mostro giuridico.

Quindi se a seguito del responso delle urne del 25 novembre si dovesse in un qualche modo manifestare l’opzione di una rinuncia alla CEDU, prima di procedere a un simile passo, sarebbe oltremodo opportuno ritornare immediatamente alle urne con un quesito chiaro ed esplicito che tolga ogni ambiguità.

Sarebbe comunque preferibile risolvere la pendenza subito, votando no. Anche perché le conseguenze nefaste di un sì all’iniziativa popolare non si limiterebbero al potenziale indebolimento dei diritti fondamentali di ogni cittadino.

L’accettazione dell’iniziativa determinerebbe anche un importante danno alla sicurezza giuridica, considerato che la Svizzera dovrebbe probabilmente mettere fine a centinaia di trattati internazionali fondamentali per la nostra economia e per la vita quotidiana di ogni cittadino (vendita all’estero di merci svizzere, viaggi, telefonate, uso delle carte di credito, Interpol e tanto altro ancora). Dal profilo economico e sociale, ogni soluzione isolazionista, in un mondo interconnesso e interdipendente come quello del terzo millennio, è chiaramente perdente. Non precludiamo il futuro alle nuove generazioni con questa illusoria chimera.

 

Renato Cabrini, presidente OATI (Corriere del Ticino, 31 ottobre 2018)