L’autodeterminazione l’abbiamo già conquistata

L’autodeterminazione l’abbiamo già conquistata

In un suo commento apparso il 2 novembre su questo giornale Tito Tettamanti sosteneva che l’iniziativa cosiddetta sull’autodeterminazione metterebbe a confronto due Svizzere diverse tra loro. La forzatura di Tettamanti, volta a dividere buoni da cattivi, patrioti da non patrioti, amanti della Svizzera dal resto del mondo, quindi chi è bravo e voterà sì da chi non lo è e voterà no, lodava quella Svizzera della democrazia semidiretta, dei meccanismi di bilanciamento del potere e della Costituzione federale. Naturalmente all’opposto metteva nell’altro campo i cattivi internazionalisti che osano immaginare la Svizzera avere dei rapporti internazionali con il resto del globo, processo che per Tettamanti, chissà perché, deve contemplare per forza lo snaturamento del nostro sistema e la mortificazione delle nostre vie decisionali.

Nel suo testo Tettamanti dimenticava però che affinché la Svizzera possa avere dei rapporti internazionali con il resto del mondo, bisogna che adotti degli accordi la cui procedura d’adozione è espressamente prevista proprio dalla nostra Costituzione federale. E cosa dice la nostra carta fondamentale al proposito? Che è sottoposta a referendum obbligatorio l’adozione di trattati internazionali più vincolanti, che negli altri casi vi è la possibilità di lanciare un referendum facoltativo e che solo in casi di scarsa portata questi accordi sono approvati o meno per semplice decisione dell’Assemblea federale. La nostra Costituzione, tra l’altro approvata da popolo e Cantoni non molti anni fa, ci dice quindi come fare per decidere volta per volta se questo o quel rapporto con il resto del mondo ci piace o non ci piace, accordando larghissimamente la parola ai cittadini. Perché allora aggiungere norme inutili, togliendo al popolo la facoltà di decidere volta per volta se aderire ad un accordo internazionale o no, come espressione massima della democrazia semidiretta?

Nessuno mette in dubbio il valore della nostra democrazia, che ha portato gli svizzeri a non aderire allo Spazio economico europeo, ad aderire all’ONU, ad accettare e confermare più volte gli Accordi bilaterali con l’Unione europea e che ci porterà presto a dover decidere se abbandonare l’Accordo sulla libera circolazione delle persone a seguito di un’iniziativa popolare. In questo senso l’autodeterminazione la Svizzera l’ha già conquistata da un pezzo e non è necessaria qualche norma pasticciata in più nella nostra carta fondamentale per aggiungere qualcosa.

A meno che nel mirino vi sia la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), adottata molti anni fa dalle sole Camere federali secondo una procedura allora vigente, la quale afferma le libertà fondamentali dei cittadini (svizzeri o europei che siano) contro i possibili abusi dello Stato. Capita che anche la Svizzera venga condannata sulla base della CEDU per non aver rispettato questi diritti, che sono il condensato raccolto dopo la seconda guerra mondiale di una lunga storia di crescita della civiltà umana nel nostro continente di cui proprio quella guerra aveva fatto strame. Ed è quasi paradossale che sia l’UDC a immaginare di poter fare a meno di questo testo, che in fondo mette al centro il cittadino difendendolo dallo Stato.

Respingiamo quindi quest’iniziativa inutile, poco fiduciosa verso il popolo e pericolosa per quanto riguarda i rapporti tra il nostro Paese e il rispetto dei diritti dell’uomo.

Le due Svizzere di Tettamanti non esistono: all’interno del nostro Paese vi sono, com’è normale, opinioni diverse sui rapporti tra Svizzera ed estero, ma ambedue queste «fazioni» devono passare dal voto popolare per far valere le proprie ragioni, secondo una procedura che è una sola, chiara e trasparente, adottata il 18 aprile 1999 dal popolo e dai Cantoni di una Svizzera che è già autodeterminata da molti, molti anni.

Manuele Bertoli, Consigliere di Stato

Opinione apparsa sul Corriere del Ticino, 7 novembre 2018