L’enfasi della campagna UDC sotto il vessillo della sovranità assoluta è diventata una vera guerra alle istituzioni democratiche svizzere; ricorda il vecchio adagio «in guèra püsee bal che tèra». Come da copione di strategia politica, il nemico paventato per mobilitare consenso è esterno. Oggi identificato nella comunità internazionale, che vorrebbe imporci le sue leggi. In realtà siamo già ora liberi di pronunciarci sui trattati internazionali che come ogni contratto non possono esser annullati né modificati unilateralmente come pretenderebbe l’iniziativa. Che piaccia o meno facciamo parte di una comunità internazionale della quale abbiamo bisogno per condividere e scambiare risorse e ricerche.
Non basta affermare una pretesa, se così fosse potremmo decidere da soli di modificare le frontiere. La forza contrattuale della piccola Svizzera è sempre stata l’affidabilità delle sue istituzioni democratiche che, pragmaticamente, hanno saputo assicurare benessere e stabilità. L’attacco del signor Buhler (2 novembre su La Regione) non riguarda i giudici stranieri, ma il nostro potere giudiziario reo, a suo dire, di essersi permesso, grazie ai trattati, di non obbedire alla volontà popolare. Generalizza qualche caso per sostenere la mancata espulsione di criminali stranieri. Sottace però che la norma prevede rispetto per i casi di rigore particolare e per chi è nato o cresciuto nel nostro Paese. Il 72% di espulsioni in Ticino nel 2017, confermato dal consigliere di Stato Norman Gobbi, dimostra quindi il contrario. Non sono di più per il rispetto del saggio principio di proporzionalità confermata dal popolo che ha bocciato la successiva iniziativa sull’espulsione automatica.
L’idea di prevedere norme automatiche per l’ansia del futuro non lascia spazio al buon senso pragmatico, né alla libertà di scelta.
La visione UDC di ridurre i giudici a burocrati che applicano programmi automatici è aliena alla nostra tradizione. Siamo sicuri che è la giustizia che vogliamo? Vogliamo rinunciare al processo equo che valuta di caso in caso ogni persona, e potrebbe riguardare anche noi, a favore di pregiudizi standardizzati e preconfezionati?
Il processo equo è un diritto fondamentale che presuppone l’indipendenza di giudizio del giudice. L’automatismo, come l’antico occhio per occhio che non valutava la colpa, nega l’indipendenza dei tribunali, è contrario alla nostra Costituzione democratica, ma in Svizzera non abbiamo un tribunale che può verificarne l’anticostituzionalità. Il diritto al processo equo è però assicurato dalla Corte dei diritti umani alla quale ognuno di noi può rivolgersi.
Proprio per poter introdurre leggi automatiche i fautori dell’iniziativa propongono di affermare la preminenza della Costituzione sugli impegni che abbiamo stipulato.
Anche se oggi è strategicamente negato, fin dall’inizio Vogt, Brunner e Rösti si riferivano esplicitamente alla Convenzione sui diritti umani e il 29 novembre 2014 Maurer ne aveva chiesto la disdetta.
L’iniziativa va anche oltre, sotto il cappello della democrazia diretta, colpisce un principio cardine della democrazia: la separazione dei poteri. Il controllo dei tribunali con l’imposizione di giudizi – più correttamente pregiudizi automatici – appartiene ad altri regimi non alla nostra tradizione democratica. La libertà permette di autodeterminare la sua rinuncia ma non nel suo nome!
Non sempre mi identifico con le scelte della maggioranza del popolo ma, siccome preferisco poter rispettare le persone senza l’obbligo di condividerne le idee, il prossimo 25 novembre voto no all’iniziativa per l’autodeterminazione.
Bruno Balestra, già procuratore generale
Opinione apparsa sul Corriere del Ticino, 14 novembre 2018