«Non apriamo le porte all’incertezza»

«Non apriamo le porte all’incertezza»

L’intervista a Ignazio Cassis, consigliere federale

Il «ministro» ticinese sugli scenari nel caso di un sì all’iniziativa per l’autodeterminazione.

 

Il titolo, indubbiamente, è accattivante. Ma la lettura che va fatta dell’iniziativa per l’autodeterminazione (o «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri») deve andare oltre la semplice intestazione. Il motivo? La portata della posta in gioco. Parola del consigliere federale Ignazio Cassis, che a margine del congresso cantonale del PLR (cfr. pagina 9) spiega le ragioni della lotta contro il testo in votazione domenica prossima. E dipinge gli scenari che potenzialmente s’instaurerebbero in caso di un sì. Scenari riassumibili con una sola parola: incertezza.

ANNA RIVA

Signor consigliere federale, Costituzione svizzera versus diritto internazionale. Non è ovvio che la prima debba prevalere sul secondo?

«Lo è e infatti è anche così. Quando noi concludiamo dei contratti internazionali importanti, pensiamo agli Accordi bilaterali con l’Unione europea o agli accordi multilaterali con l’ONU o con l’Organizzazione mondiale del commercio, necessariamente ci vuole l’approvazione del Parlamento e vi è sempre il referendum facoltativo sulla legge che applica tali contratti. Addirittura, vedendo la crescita del numero di questi atti negli ultimi anni, si è deciso che quelli giudicati di rango costituzionale vanno sottoposti al referendum obbligatorio, quindi diventano de facto delle decisioni del popolo di livello costituzionale. Il mondo è cambiato, ma è vero che questo modo di procedere non era ancora in vigore venti, trenta, quarant’anni fa. I trattati internazionali all’epoca non sempre seguivano questa via legislativa interna. Ed è qui il problema. Se noi approvassimo adesso questa modifica costituzionale creeremmo la base per rimettere in discussione i trattati internazionali decisi anni addietro, quando ancora non c’era questo meccanismo di rango costituzionale. E ciò crea una grandissima insicurezza: primo perché sono importanti questi trattati decisi in passato, che esplicano la loro forza normativa ogni giorno, anche se magari non ne parliamo sempre; secondo perché creeremmo una grandissima insicurezza nei nostri rapporti internazionali e quindi a scapito della nostra piazza economica».

È curioso che lei parli di incertezza giuridica quando i promotori dicono che con quest’iniziativa è proprio la certezza giuridica che verrebbe infine a crearsi.

«Se noi guardiamo da oggi in avanti, quello che i promotori propongono è già de facto realtà. È vero, non è scritto così come da loro richiesto, ma nei fatti è così. E quindi in questo senso verrebbero semplicemente a confermare quanto già accade: la realtà è quella, creiamo la regola. E fin qui penso che non ci sarebbero grandi problemi. Anche altri Paesi hanno queste disposizioni, dove affermano un fatto ovvio: nel nostro territorio decidiamo autonomamente cosa vogliamo fare. Ma ciò è scontato. Non bisogna pensare che non sia già così. Oggi non stringeremmo nessun trattato internazionale senza che questo sia prima approvato dalla Svizzera. Il vero problema è che l’iniziativa si propone di sanare situazioni del passato che approvando questa proposta dovrebbero d’un colpo essere ridiscusse: si giungerebbe a nuovi negoziati, a disdette. Questo creerebbe una situazione difficile».

Si tratta di un esperimento inedito. È davvero immaginabile la portata di tale test?

«È difficile immaginarla. Nessuno sa esattamente che cosa succederebbe e già questo è un risultato preoccupante. Avere una norma costituzionale che apre il vaso di Pandora: perché dobbiamo avere un comportamento autolesionista? Per risolvere quale problema? Non c’è un problema da risolvere. Quindi qualsiasi soluzione non può che creare effetti collaterali indesiderati. Questa incertezza del diritto nuocerebbe alla piazza economica, quindi alla nostra prosperità e ai nostri rapporti internazionali. Il santo non vale la candela».

La consigliera federale Simonetta Sommaruga ha detto che la vaghezza con cui è stata formulata l’iniziativa può fare in modo che qualsiasi accordo internazionale venga potenzialmente toccato, come ad esempio la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e l’Accordo di libero scambio.

«Sommaruga ha assolutamente ragione: è proprio questo il problema. Non c’è scritto che cosa esattamente bisognerebbe toccare e gli iniziativisti un giorno sì e uno no cambiano idea. Prendiamo la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che all’inizio sembrava essere proprio quella contro cui era indirizzata l’iniziativa. Adesso i promotori hanno fatto marcia indietro, hanno detto: “No no, quella non vogliamo toccarla”. Ma ciò testimonia bene una cosa: l’incertezza. L’incertezza del diritto è il veleno numero uno per la nostra sicurezza e prosperità».

La fuga delle aziende è tra i possibili scenari, immagino.

«Sì. Chi investe? Lei, se ha un milione di franchi da investire, vuole farlo dove è sicura che valgono certe regole che restano valide per un po’ di tempo oppure preferisce farlo in un posto dove domani uno cambia la legge e lei perde il suo milione? Nessuno investirebbe più. E se nessuno investe, non abbiamo sviluppo economico e non siamo più il numero uno dell’innovazione, con tutto ciò che ne consegue in termini di prosperità. Salari, redditi e pressione fiscale: tutto questo è legato a quanta ricchezza riusciamo a produrre».

L’iniziativa si inserisce in un contesto piuttosto difficile, caratterizzato da relazioni con l’Unione europea non sempre semplici. Magari è un po’ scabroso trattare questa faccenda adesso.

«È così. È vero che non c’è un legame giuridico diretto, perché i rapporti internazionali che oggi abbiamo con l’Unione europea sono stati accolti in votazione popolare più volte, quindi il popolo ha detto chiaramente che tipo di politica europea vuole sinora. L’unica volta in cui ci si è trovati in una situazione poco chiara è stato in seguito all’iniziativa contro l’immigrazione di massa. Il Parlamento ha risolto il problema in qualche modo, come ha potuto e alla fine contro quella soluzione nessuno ha lanciato un referendum, quindi vuol dire che tutto sommato andava bene così. Un sì il 25 novembre modificherebbe i nostri rapporti con l’Unione europea, creando una percezione di incertezza sull’affidabilità del partner. Quanto sarebbe affidabile il partner svizzero che d’un colpo crea una norma costituzionale in base alla quale potrebbe mettere in discussione la sua appartenenza al Consiglio d’Europa? Poi bisognerà vedere se questo succederà o no. Ma, come detto, provocheremmo l’apertura del vaso di Pandora».

Chi è contrario all’accordo quadro istituzionale lamenta un atteggiamento di sottomissione, che verrebbe consolidato con un’eventuale firma. Come risponde?

«L’accordo quadro istituzionale è un accordo procedurale che aiuta a regolare l’accesso al mercato dell’Unione europea. È una tappa ulteriore sulla via bilaterale. Ed è una decisione che può essere presa dal Parlamento e dal popolo indipendentemente dall’iniziativa per l’autodeterminazione. Ma ancora una volta: se l’iniziativa sarà approvata è molto probabile che ciò avrà delle conseguenze negative anche sulla disponibilità dell’Unione europea a trovare delle vie giuste ed equilibrate con la Svizzera, perché d’un colpo avrà la sensazione che non siamo più un partner affidabile».

È recente la notizia relativa ad una decisione della Corte di giustizia dell’UE, che ha giudicato illegale una disposizione austriaca contro il dumping salariale. In Svizzera i sindacati paventano un indebolimento della tutela dei salariati. La sentenza della Corte può essere intesa come una conferma di questi timori?

«No. La lettura che ne è stata fatta è sbagliata. In realtà questa sentenza è una bella cosa, perché dimostra che non si può mantenere opacità sulla questione: bisogna fare chiarezza. E con cosa facciamo chiarezza? Con l’accordo quadro istituzionale. Secondo me è la miglior prova che la volontà di creare certezza giuridica impedirà ai tribunali di dover decidere essi stessi. Ed è la prova migliore che potesse arrivare cinque minuti prima di mezzanotte, dato che nelle prossime settimane dovremo arrivare ad una decisione. In secondo luogo, l’Austria è un membro del club, noi no. E questo cambia completamente le cose, perché i rapporti tra noi e il club – l’Unione europea – sono regolati appunto da norme diverse da quelle che disciplinano l’appartenenza di un membro dell’UE».

Due interpretazioni antitetiche, dunque.

«Per me in sostanza è la prova che quando non c’è chiarezza nei rapporti giuridici i tribunali devono in qualche modo tranciare. E questo avviene anche all’interno dell’UE».

In Ticino, secondo alcuni sondaggi, potrebbe emergere un certo sostegno a favore dell’iniziativa per l’autodeterminazione. Come legge questo dato?

«Lo leggo alla luce della percezione di perdere il controllo di casa propria. È una cosa molto profonda, molto viscerale e che ci accomuna tutti. E, a prima vista, è anche una giusta reazione. Bisogna però darsi la pena di fare un passo ulteriore e di dire: va bene, ritenuto che il principio è giusto, quando voto sì che cosa faccio esattamente? Faccio cambiare la Costituzione inserendo delle norme confuse che creano l’incertezza di cui parlavo prima. Il sì non è al titolo dell’iniziativa, ma agli articoli concreti che entrerebbero nella Costituzione. E questi, mi spiace, non sono né necessari né adeguati, ma creano soltanto effetti negativi. Ribadisco che già oggi, indipendentemente da quest’iniziativa, la Svizzera non accoglie nessun nuovo trattato di diritto internazionale senza che al popolo venga data la possibilità di esprimersi».

Intervista apparsa sul Corriere del Ticino, 19 novembre 2018