Autodeterminazione e giudici stranieri

Autodeterminazione e giudici stranieri

L’iniziativa dell’Udc in votazione domenica prossima punta, come e più che in occasioni analoghe su un forte aspetto declamatorio: “autodeterminazione” e “giudici stranieri” sono espressioni di sicuro effetto, che mirano a ingenerare l’idea che la posta in palio sia addirittura la difesa della libertà politica degli svizzeri, minacciata da un soverchiante potere sovranazionale. Se la portata giuridica dell’iniziativa non è del tutto chiara, lo è, invece, quella politica: alimentare un clima di contrapposizione fra “noi” e “gli altri”.
Fare accordi non è rinunciare alla propria sovranità
1. Cominciamo considerando la questione dell’autodeterminazione. Dai promotori dell’iniziativa il diritto internazionale viene rappresentato come un’indebita ingerenza nella sfera di esercizio dell’autonomia nazionale. Ci si dimentica che le norme di tale diritto valgono solo sulla base di trattati di vario tipo liberamente sottoscritti dal nostro paese, per ragioni di interesse o di principio (perché ritenuti vantaggiosi o giusti). Fare accordi non è rinunciare alla propria sovranità, ma esercitarla. I contrasti fra diritto interno e diritto internazionale non sono, dunque, contrasti fra “noi” e “gli altri”, ma fra “noi” e “noi”, nella misura in cui firmiamo un accordo e poi adottiamo una legge che lo contraddice. Come criterio rigido per risolvere questi eventuali contrasti normativi, l’iniziativa propone il primato del diritto interno, in particolare costituzionale, su quello internazionale. Il solenne riferimento alla costituzione non significa affatto, per l’Udc, ribadire il ruolo centrale dei principi fondanti la nostra carta fondamentale, bensì affermare il primato assoluto degli esiti delle iniziative popolari che modificano la stessa (vedi gli articoli relativi alla proibizione dei minareti, all’espulsione dei criminali stranieri, ai limiti posti all’immigrazione). La costituzione, invece di svolgere la funzione di regolazione dei diversi poteri, compreso quello del popolo, diviene nell’ottica dell’Udc il grimaldello, attraverso le iniziative popolari, per scardinare ogni vincolo interno o internazionale (che è ancora una volta interno). In questa prospettiva conterebbe solo l’ultima norma che il popolo approva, anche se si rivelasse in contrasto con sue decisioni precedenti, con altre norme della costituzione o con gli impegni internazionali liberamente assunti dal nostro paese. Ciò stravolgerebbe le basi di ogni moderna democrazia costituzionale e renderebbe il nostro paese inaffidabile sul piano internazionale.
Limitare l’autonomia dei giudici… svizzeri
2. Accanto alla questione dell’“autodeterminazione” vi è quella dei “giudici stranieri”, entità fantomatica che evoca i balivi asburgici combattuti dai Waldstätten, che oggi si identificherebbero con le varie autorità sovranazionali, in primo luogo europee. Diradata un po’ la nebbia prodotta dalla propaganda, si capisce che gli unici giudici in questione sono quelli della Corte europea di Strasburgo, istituita dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu). A proposito di “giudici”, va in primo luogo sottolineato che l’iniziativa, come detto in precedenza, vuole soprattutto limitare l’autonomia dei giudici svizzeri, a cominciare da quelli del Tribunale Federale, riguardo all’interpretazione nei singoli casi del rapporto fra diritto interno e diritto internazionale. Per quanto riguarda i giudici della Corte europea, effettivamente fra le poche conseguenze chiare dell’adozione del testo in votazione vi è quella di togliere ai cittadini svizzeri la possibilità di far valere in modo efficace i loro diritti a Strasburgo, perché l’applicazione delle sentenze della Corte potrebbe essere in contrasto col primato del diritto interno, considerato anche che l’adesione svizzera alla Cedu nel 1974 non è stata direttamente ratificata dal popolo. Insomma, alla fine chi perderà qualcosa sarà il cittadino del nostro paese. In passato anche cittadini svizzeri hanno potuto valersi della giurisdizione della Corte. Cedu e Corte rappresentano, inoltre, un importante riferimento ideale. A tal proposito è illuminante la vicenda relativa alla concessione dei diritti politici alle donne. La negazione di questo diritto fondamentale è stata la principale ragione della ritardata adesione della Svizzera alla Convenzione europea e il richiamo a tale Carta dei diritti un argomento importante nella lunga battaglia per il voto femminile. È dunque chiaro che l’iniziativa contrappone la sovranità popolare alla difesa dei diritti individuali, chiedendo di fare una rinuncia riguardo ai secondi nella falsa convinzione che ciò rafforzi la prima. Ragionare in questo modo significa misconoscere la natura della democrazia: senza un’ampia garanzia dei diritti individuali non vi è esercizio effettivo della sovranità popolare, perché viene a mancare il popolo, cioè un corpo politico costituito da persone libere e uguali. Una democrazia illiberale, oggi perseguita da molte forze della destra in Europa e negli Stati Uniti di Trump, non è una vera democrazia. Respingere l’iniziativa Udc è fondamentale per evitare che anche da noi questa deriva si rafforzi.

Virginio Pedroni, filosofo

Articolo apparso su laRegione, 23 novembre 2018