Vera democrazia e diritti fondamentali

Vera democrazia e diritti fondamentali

L’iniziativa «Il diritto svizzero anziché giudici stranieri (Iniziativa per l’autodeterminazione)» muoverebbe dal mancato rispetto – così sostiene l’UDC – della volontà popolare. Ad esempio vengono portati gli articoli costituzionali sull’espulsione dei criminali stranieri e contro l’immigrazione di massa. È vero, nell’esecuzione di questi articoli, Consiglio federale e Parlamento hanno tenuto conto delle convenzioni internazionali. Ma già la stessa Costituzione svizzera, all’articolo 5 stabilisce che ci troviamo in uno Stato di diritto che osserva – per esempio – il principio della proporzionalità, evitando assolutismi senza considerare le loro conseguenze per i singoli e le loro famiglie. Hanno pure tenuto presente l’ampia fetta di votanti (il 46.5%, rispettivamente il 49.7%) che ha espresso il proprio no a queste iniziative, così come dei diritti minimi di chi votare nemmeno poteva.
La nostra Costituzione sancisce anche che nessuno può essere discriminato a causa dell’origine, che ognuno ha per esempio diritto alla vita, al rispetto della vita privata e familiare, al matrimonio. Le convenzioni sui diritti umani, tra cui la CEDU – Convenzione europea per i diritti dell’uomo – rafforzano questi principi. Permettono di farli prevalere su norme costituzionali più recenti che invece in alcuni loro aspetti e automatismi questi diritti li vogliono limitare fino alla loro negazione. Una democrazia che non rispetta i diritti fondamentali, anche delle minoranze, non è migliore di una dittatura. Un sovrano che pretende di non attenersi alla propria carta fondamentale e agli accordi che conclude, rischia di diventare un tiranno. Ecco perché voterò no a un’iniziativa che interpreta in questa direzione la democrazia e l’autodeterminazione.

Rosemarie Weibel, Massagno

Articolo apparso sul Corriere del Ticino, 15 novembre 2018

Fra autodeterminazione e protezione dei minori

Fra autodeterminazione e protezione dei minori

È opinione di molti favorevoli all’‘Iniziativa per l’autodeterminazione’ che la Svizzera non abbia bisogno dei trattati internazionali sui diritti umani poiché questi diritti sarebbero già garantiti dalla nostra Costituzione. Dimenticano la fondamentale complementarità del diritto internazionale in materia di protezione dei diritti umani! Partiamo da un fatto di cronaca venuto alla luce qualche mese fa. La vicenda concerne ripetuti abusi sessuali e maltrattamenti da parte di un padre sui suoi otto figli. Abusi durati più di dieci anni, nonostante la famiglia fosse sotto la sorveglianza delle istituzioni cantonali di protezione dell’infanzia. Nell’inchiesta amministrativa condotta dall’ex giudice federale Claude Rouiller (per gli scettici, un cittadino svizzero come l’imputato), la Convenzione internazionale sui diritti dei fanciulli è presentata prima delle leggi federali e cantonali. Secondo il sistema attuale infatti, questa Convenzione è vincolante per le autorità svizzere. Con il suo rapporto Rouiller è riuscito a dimostrare che la cattiva gestione da parte del sistema di protezione dell’infanzia ha contribuito a far sì che gli abusi da parte del padre si protraessero per oltre dieci anni. Uno dei problemi riscontrati da Rouiller riguarda l’inesatta interpretazione – e dunque la scorretta applicazione – della Convenzione dei diritti dei fanciulli, in particolare dell’articolo 12: il diritto di ogni minore ad essere ascoltato nelle decisioni che lo riguardano. Concretamente, nei casi di problemi famigliari, la mancata osservanza di questo principio comporta il rischio che i genitori nascondano fatti per loro compromettenti che, se portati alla luce, implicherebbero l’attuazione di misure protettive, ad esempio il ritiro dell’autorità parentale. Nello specifico, le autorità competenti non hanno fatto proprio il principio secondo il quale il bambino capace di esprimersi è l’unico esperto della sua situazione personale: ascoltando gli otto fratelli in modo inadeguato, chi di dovere si è precluso un modo per individuare gli abusi. Questo aspetto fondamentale ha spinto Rouiller a predisporre nel suo rapporto una raccomandazione alle autorità, affinché applichino correttamente l’articolo 12 della Convenzione. Questo caso dimostra, se ancora ce ne fosse bisogno, che le nostre istituzioni non sono infallibili e che le convenzioni come quella per la protezione dei fanciulli sono indispensabili per migliorare la difesa dei nostri diritti in generale e quelli delle persone vulnerabili in particolare. Attaccare tutto il diritto internazionale – Convenzione dei diritti dei fanciulli compresa, poiché non è stata a suo tempo votata dal popolo – per disfarsi di alcuni accordi indigesti è un’aberrazione giuridica. In nessun ambito si agisce seguendo questo principio scriteriato. Per queste ragioni è importante votare No all’iniziativa per l’autodeterminazione.

Valerie Debernardi, giurista e co-presidente dell’associazione Uniti dal diritto

Articolo apparso su laRegione, 14 novembre 2018

Autodeterminazione e armi spuntate

Autodeterminazione e armi spuntate

È un tema certamente difficile, anche per un giurista. Non è di per sé un esercizio facile rilevare potenziali divergenze, a livello teorico, fra il diritto internazionale e la Costituzione federale. Purtroppo, l’iniziativa non dice chi sarà a dover scegliere di volta in volta fra il diritto svizzero e il diritto internazionale: si arrischia la paralisi giudiziaria proprio su questioni fondamentali, in un periodo in cui è necessario decidere in fretta.

Ritengo in ogni caso legittimo fare un pensiero su quella che potrebbe essere la posizione della Svizzera a livello internazionale qualora l’iniziativa venisse effettivamente accolta. La domanda da porsi dovrebbe essere quella a sapere se la disdetta di «n» accordi può scatenare una levata di scudi internazionale tanto da mettere il nostro Paese in una situazione di crisi. Nell’affermativa, la Svizzera sarebbe in grado di far fronte a tale pressione?

La nostra storia più recente ha dimostrato, purtroppo, che le nostre armi sono abbastanza spuntate. Due crisi su tutte hanno dimostrato i limiti delle nostre istituzioni. La prima è partita nel 2009 dagli Stati Uniti, dopo 10 anni, ha inesorabilmente stravolto il settore finanziario con l’affossamento del segreto bancario. È ancora ben vivo il ricordo di un Consiglio federale praticamente impossibilitato a parare i continui attacchi provenienti da gran parte dei Paesi occidentali (oltre a USA, Germania, Francia, e G20). Non vennero in soccorso della Svizzera nemmeno quei Paesi in Europa che condividevano un sistema analogo al nostro (Gran Bretagna, Lussemburgo, Austria). Nessuna solidarietà e tanta critica nei confronti del nostro Paese.

Il secondo esempio, anch’esso rivelatore dei limiti delle nostre istituzioni in caso di crisi, è quello del triste sequestro dei due cittadini svizzeri che venne ordinato da quel dittatore libico giusto per un gusto di rivalsa a fronte di un torto familiare subito. In quelle fasi, vi furono addirittura Paesi europei che redarguirono la Svizzera per il fatto di aver bloccato i visti Schengen ad alcuni personaggi vicini all’entourage di quel tiranno. Poca solidarietà e cinica reprimenda nei confronti della Svizzera.

Il nostro peso specifico a livello internazionale, come si è visto, rimane limitato. Mi si dirà che si è arrivati al catastrofismo, forse. Tuttavia, se è vero che fra i vari obiettivi dell’iniziativa vi è quello di denunciare la CEDU, temo che tale atto possa essere interpretato quale affronto. Un potenziale fattore scatenante di un nuovo attacco contro la Svizzera (magari in una forma meno funesta), ma pur sempre un attacco di chi intende danneggiare gli interessi della Svizzera (e si è visto che nei momenti di maggiore difficoltà nessuno ha manifestato amicizia nei nostri confronti, anzi). In altri termini, questa iniziativa per l’autodeterminazione, se accolta, potrebbe tradursi in un atto di autoisolamento controproducente.

Un ultimo appunto: se la Svizzera è in grado di vantare un’economia con valori assoluti e relativi a dir poco straordinaria (PIL a quota 670 miliardi, reddito pro capite fra i più alti al mondo, disoccupazione al di sotto del 3%, massimi livelli di competitività, sistema sanitario ineccepibile, ottime infrastrutture ingegneristiche, e via dicendo) è anche grazie (e non malgrado) all’abilità di chi, nei decenni precedenti, è stato in grado di concludere centinaia di accordi commerciali a tutela dell’esclusivo interesse della Svizzera. Pensiamoci, il diritto internazionale fa prosperare la Svizzera, non la isola e non la danneggia.

Ergin Cimen, Lugano

Articolo apparso sul Corriere del Ticino, 14 novembre 2018

Autodeterminazione che spegne il futuro

Autodeterminazione che spegne il futuro

L’iniziativa per l’autodeterminazione lanciata dall’UDC è un’azione politica pericolosa. In sostanza i democentristi chiedono che, se un articolo della costituzione fosse in contrasto con un punto di un trattato internazionale, il Consiglio federale avrebbe un anno di tempo per rinegoziare il tutto. Se i negoziati fallissero, la Svizzera dovrebbe allora disdire l’eventuale accordo. I dubbi sono molti al riguardo, ad esempio il testo non fa luce fra i livelli di diritto, ma tramite palesi contraddizioni garantisce solamente una cosa: incertezza. L’iniziativa danneggerebbe dunque la Confederazione sotto molti punti di vista e non garantirebbe più margini di manovra in ambito politico ed economico. Una maggiore autodeterminazione nazionale non è affatto garantita, come vorrebbe far credere ai cittadini l’UDC, ma introdurrebbe rigidi vincoli che di fatto porterebbero all’inevitabile isolamento della Svizzera. Una situazione quest’ultima che avrà ripercussioni negative: gli affari diminuirebbero e le condizioni quadro per poter operare con il mercato internazionale saranno minori. Un mercato estero che, fino ad oggi, ci ha resi ricchi e concorrenziali con il resto del mondo. Personalmente non voglio vivere in una nazione isolata e non voglio vivere sapendo che non avrò nessuna possibilità di contatto accademico o professionale con il mondo che mi circonda. Voglio vivere in una Svizzera aperta al mondo e che crea per i suoi cittadini i presupposti per poter stare bene, sia all’interno sia all’esterno dei suoi confini. Voglio vedere una Svizzera che diventa sempre più prospera e questo è possibile solamente grazie ad accordi che la Confederazione ha sottoscritto e, spero, che sottoscriverà anche in futuro. La cooperazione con altri Stati non è di certo una minaccia alla nostra sovranità, ma un modo per migliorare il nostro stile di vita. Non dobbiamo aver paura dell’Europa e del mondo, dobbiamo essere aperti al dialogo e cogliere le opportunità che ci vengono sottoposte dai vari partner internazionali.

Daniele Mazidi, presidente dei Giovani liberali radicali ticinesi e membro dell’Ufficio presidenziale della sezione di Lugano

Articolo apparso su Ticinonews, 9 novembre 2018

Il (pre)giudizio automatico è contrario alla democrazia

Il (pre)giudizio automatico è contrario alla democrazia

L’enfasi della campagna UDC sotto il vessillo della sovranità assoluta è diventata una vera guerra alle istituzioni democratiche svizzere; ricorda il vecchio adagio «in guèra püsee bal che tèra». Come da copione di strategia politica, il nemico paventato per mobilitare consenso è esterno. Oggi identificato nella comunità internazionale, che vorrebbe imporci le sue leggi. In realtà siamo già ora liberi di pronunciarci sui trattati internazionali che come ogni contratto non possono esser annullati né modificati unilateralmente come pretenderebbe l’iniziativa. Che piaccia o meno facciamo parte di una comunità internazionale della quale abbiamo bisogno per condividere e scambiare risorse e ricerche.

Non basta affermare una pretesa, se così fosse potremmo decidere da soli di modificare le frontiere. La forza contrattuale della piccola Svizzera è sempre stata l’affidabilità delle sue istituzioni democratiche che, pragmaticamente, hanno saputo assicurare benessere e stabilità. L’attacco del signor Buhler (2 novembre su La Regione) non riguarda i giudici stranieri, ma il nostro potere giudiziario reo, a suo dire, di essersi permesso, grazie ai trattati, di non obbedire alla volontà popolare. Generalizza qualche caso per sostenere la mancata espulsione di criminali stranieri. Sottace però che la norma prevede rispetto per i casi di rigore particolare e per chi è nato o cresciuto nel nostro Paese. Il 72% di espulsioni in Ticino nel 2017, confermato dal consigliere di Stato Norman Gobbi, dimostra quindi il contrario. Non sono di più per il rispetto del saggio principio di proporzionalità confermata dal popolo che ha bocciato la successiva iniziativa sull’espulsione automatica.

L’idea di prevedere norme automatiche per l’ansia del futuro non lascia spazio al buon senso pragmatico, né alla libertà di scelta.

La visione UDC di ridurre i giudici a burocrati che applicano programmi automatici è aliena alla nostra tradizione. Siamo sicuri che è la giustizia che vogliamo? Vogliamo rinunciare al processo equo che valuta di caso in caso ogni persona, e potrebbe riguardare anche noi, a favore di pregiudizi standardizzati e preconfezionati?

Il processo equo è un diritto fondamentale che presuppone l’indipendenza di giudizio del giudice. L’automatismo, come l’antico occhio per occhio che non valutava la colpa, nega l’indipendenza dei tribunali, è contrario alla nostra Costituzione democratica, ma in Svizzera non abbiamo un tribunale che può verificarne l’anticostituzionalità. Il diritto al processo equo è però assicurato dalla Corte dei diritti umani alla quale ognuno di noi può rivolgersi.

Proprio per poter introdurre leggi automatiche i fautori dell’iniziativa propongono di affermare la preminenza della Costituzione sugli impegni che abbiamo stipulato.

Anche se oggi è strategicamente negato, fin dall’inizio Vogt, Brunner e Rösti si riferivano esplicitamente alla Convenzione sui diritti umani e il 29 novembre 2014 Maurer ne aveva chiesto la disdetta.

L’iniziativa va anche oltre, sotto il cappello della democrazia diretta, colpisce un principio cardine della democrazia: la separazione dei poteri. Il controllo dei tribunali con l’imposizione di giudizi – più correttamente pregiudizi automatici – appartiene ad altri regimi non alla nostra tradizione democratica. La libertà permette di autodeterminare la sua rinuncia ma non nel suo nome!

Non sempre mi identifico con le scelte della maggioranza del popolo ma, siccome preferisco poter rispettare le persone senza l’obbligo di condividerne le idee, il prossimo 25 novembre voto no all’iniziativa per l’autodeterminazione.

Bruno Balestra, già procuratore generale

Opinione apparsa sul Corriere del Ticino, 14 novembre 2018

Elvezia sfrattata

Elvezia sfrattata

Cari svizzeri, vi diamo lo sfratto. Avete deciso, il 25 novembre 2018, di rivedere tutto ciò che avete firmato. Allora uscite. Avete snobbato i ‘giudici stranieri’, tutti i tribunali internazionali e le centinaia di mediatori della comunità degli Stati. Quindi ve ne andate. Avete fondato, assieme a tutti noi, la corte di Strasburgo per i Diritti dell’Uomo, la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja, i gruppi di mediazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e tanti gruppi simili. Ora avete cambiato strada, preferite camminare da soli, in questo mondo sempre più complicato. Camminerete soli. Spiegazione: la Casa degli Accordi fra i Paesi accoglie tutti coloro che la rispettano. Regola principale della Casa: nessun Paese può pretendere di seguire le regole di casa sua. Sta scritto nel regolamento del condominio: la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, art.27, quello che gli autori della vostra iniziativa popolare sui ‘giudici stranieri’ hanno dimenticato e di cui tacciono sempre. È la madre di tutti gli Accordi fra i Paesi. approvata anche dal Parlamento svizzero. Regola, di puro buon senso. Avevate dato la vostra parola d’onore, secondo le usanze solenni della diplomazia: ratifica delle camere federali, spesso anche per votazione popolare, scambio e deposito dei documenti di ratifica, ecc. Così anche quando avete ratificato quasi 5’500 accordi, pazientemente analizzati, non imposti da nessuno, ma volontariamente approvati. Anche quando avete ratificato la Convenzione di Vienna, avete promesso di rispettare tutte le regole di tutti questi Accordi senza mai opporre qualche vostra regola interna. Perché anche tutti gli altri Paesi hanno preso gli stessi impegni.

Ci piace guardare i bambini giocare nei cortili delle nostre scuole (e ricordiamo sempre con una stretta quelli nelle scuole bombardate anche in questi giorni). Hanno una regola: non si cambiano le regole durante il gioco. Chi lo fa, viene messo da parte. Stessa regola anche fra i Paesi. A sorpresa, cambiate regola. E allora, per la Svizzera tutti gli Accordi non valgono più. Le vostre imprese non potranno più chiedere protezione all’Organizzazione Mondiale del Commercio. Cittadine e cittadini svizzeri non potranno più presentare ricorsi alla Corte di Strasburgo né chiedere giustizia agli innumerevoli tribunali arbitrali. Saremo noi a denunciare tutti questi Accordi, perché avrete deciso di preferire le vostre regole interne. Come la Corea del Nord, Turchia, Arabia Saudita, Venezuela. Non volete più i “giudici stranieri”? E allora vi inviteremo ad uscire anche dalla Corte di Strasburgo e anche dalla Corte internazionale di Giustizia dell’Aja e anche dal Tribunale internazionale penale, dove eminenti giuristi svizzeri vennero sempre accolti e rispettati. Tutto ciò non perché le regole di tutti gli Accordi che avete ratificato siano contrarie alla vostra Costituzione, ma perché il 25 novembre avrete accettato di rispettare prima le vostre regole invece di quelle che avete firmato e ratificato. Quali regole? Non lo sapete nemmeno voi. E nemmeno a noi, Paesi che vi hanno creduto, piace lavorare senza più sapere quali siano le regole che vorrete applicare. Appunto per questa ragione si fanno gli Accordi, affinché tutti sappiano quali sono le regole che saranno sempre da rispettare da tutti. La Svizzera sceglie un nuovo sistema? Rimarrà sola, senza alleati. Fuori dall’Unione Europea, ma senza gli Accordi oggi esistenti, e però fuori anche dalla Casa degli Accordi. Anche dalla Convenzione dei Diritti dell’Uomo, quella che anche tutti i 28 Paesi membri dell’Unione Europea hanno approvato. Anche dalla Corte di Strasburgo, alla quale l’Unione Europea non aderisce perché non è uno Stato, ma che però sostiene finanziariamente. Elvezia sfrattata. Perché? Per paura dell’Unione Europea. Ma su questo tema il popolo svizzero è già e rimane sovrano: continuerà a votare se e quali Accordi vuole o non vuole con l’Unione Europea. E allora, perché farsi sfrattare dalla Casa degli Accordi? Perché esporsi a rappresaglie e ritorsioni da parte di tutti? Siete ancora in dubbio? Ancora un buon motivo per lasciare tutto come finora. Buon motivo per votare NO il prossimo 25 novembre. No contro l’iniziativa cosiddetta dell’autodeterminazione, in realtà l’iniziativa dell’autodistruzione.

Paolo Bernasconi, prof. dr. iur. h.c.

Opinione apparsa su LaRegione, 13 novembre 2018

 

A pensar male a volte ci si azzecca

A pensar male a volte ci si azzecca

Sono molti di questi tempi i contributi nei media che enfatizzano l’importanza della prossima votazione federale sull’iniziativa detta per l’autodeterminazione. Ne sono un po’ stupito, ma capisco. È sempre così: è una battaglia politica come molte altre già vissute, nelle quali si investono toni forti ed emotivi per cercare di spingere a un voto di parte. Si ingigantisce l’importanza del tema, quasi dal suo esito dovesse dipendere il futuro del Paese, con modifiche sostanziali dei comportamenti dei tribunali. Ma così non è: l’iniziativa propone assai più apparenza che sostanza. Anche chi si oppone all’iniziativa usa espressioni vigorose e trasmette preoccupazioni per la possibile disdetta svizzera della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, alla quale l’accoglimento dell’iniziativa dovrebbe portare. Un po’ anche esagerando nei toni, poiché la ratifica svizzera della Convenzione europea negli anni ’70 è stata soprattutto un atto di solidarietà internazionale, uno sforzo di promozione di quelli che sono sempre stati i nostri diritti di cittadini svizzeri anche in Paesi che erano e in parte sono tuttora meno liberali, meno rispettosi dei diritti individuali e meno rispettosi delle minoranze di quanto lo siamo noi. I diritti garantiti dalla Convenzione, in fondo, li abbiamo quasi tutti garantiti dalla nostra Costituzione: i due atti fondamentali della nostra struttura giuridica, nei contenuti, in gran parte si coprono. Recentemente importanti esponenti UDC hanno dichiarato, con altrettanto vigore di quello con cui propugnano il sì, che non è intenzione degli iniziativisti spingere la Svizzera a revocare la sua adesione a quella Convenzione. Ma questa affermazione non ha senso, anche se è vero che l’iniziativa non lo chiede esplicitamente. Se la Convenzione restasse in vigore, i suoi effetti sull’operato dei tribunali rimarrebbero gli stessi di oggi, per cui sarebbe stato inutile lanciare l’iniziativa, che però è stata lanciata. Se la Costituzione svizzera deve prevalere su tutti gli accordi e le convenzioni internazionali, come essa vuole, quelle di carattere fondamentale come la Convenzione europea dei diritti dell’uomo dovrebbero per forza cessare di influenzare i nostri tribunali. Se no si realizzerebbe una contraddizione di fondo: da una parte i tribunali svizzeri dovrebbero ignorare i contenuti della Convenzione, se fossero in contrasto con la nostra Costituzione, ma dall’altra ogni cittadino svizzero potrebbe ricorrere alla Corte di Strasburgo, che evidentemente applicherebbe le norme della Convenzione e non quelle eventualmente in contraddizione della nostra Costituzione. Quindi gli esponenti UDC non raccontino sciocchezze: vogliono soprattutto liberare il diritto svizzero dai vincoli di quella Convenzione: non possono dirci che resterà in vigore! Oppure sì? L’iniziativa è solo parte di un gioco politico che vuole portarla al successo per poi lasciare tutto come sta?

Fulvio Pelli, già consigliere nazionale
Commento apparso sul Corriere del Ticino, 13 novembre 2018